E’ DIBATTITO APERTO SULLE ASTRINGENTI REGOLAMENTAZIONI CHE DISORIENTANO GLI IMPRENDITORI ITTICI

Ripercorriamo con il Direttore Generale di ANAPI Pesca, Annamaria Mele, e il Consigliere Nazionale, Alessandro Capelli, le dinamiche che stanno causando il tracollo della pratica più antica del mondo.

Se il pescato è diminuito e le restrizioni sono sempre più stringenti, il comparto si domanda se la responsabilità della perdita di biodiversità sia realmente ascrivibile al medesimo oppure da ricercare nell’antropizzazione eccessiva degli areali, e non solo nelle zone costiere ma anche in mare aperto. La crisi della pesca in termini di catture è da far risalire al momento in cui entrò in vigore il Libro Verde sulla riforma della Politica Comune della Pesca, promosso dalla Commissaria europea Maria Damanaki, pubblicato nell’aprile 2009: un lavoro fatto quasi di suo pugno che porta all’interno del comparto ittico la mannaia dell’ambientalismo più radicale, per via del quale si stabilirono regole talmente restringenti, impattanti ed inique che le ripercussioni devastanti per la pesca italiana sono ormai tangibili. Lo scopo era quello di colpire il settore primario dei Paesi UE del bacino del Mediterraneo, sotto velate motivazioni ambientaliste, ma che in realtà hanno agevolato l’importazione e creato forti disparità con tutti gli altri Paesi mediterranei, i quali a tutt’oggi pescano senza le nostre stesse regole, limitazioni e controlli: ha senso preoccuparsi degli stock ittici UE andando a colpire e penalizzare prevalentemente Francia, Spagna e Italia? Le prime due contano peraltro anche sulle loro flotte atlantiche, mentre tutti gli altri non sono stati mai oggetto delle stesse nostre restrizioni e regole.

Il Decreto che si rifà al Libro Verde prevedeva, prima della sua entrata in vigore, anni di sperimentazione che non sono stati mai fatti, salvo ridicole comparazioni di reti con sacco tradizionali e con quello quadro, che dovevano essere approfondite su tutte le specie ittiche almeno per un triennio, al fine di poterne verificare il reale impatto sugli stock ittici, ma soprattutto sulla sostenibilità delle imprese.

Seppur la Damanaki scrisse “deve essere preservata la sostenibilità economica delle imprese di pesca”, nessuno si è realmente curato che ciò fosse fatto: da qui in poi il ricorso sempre più frequente alla demolizione, all’alienazione, all’abbandono delle tradizioni di alcuni settori della pesca italiana, quella fatta di artigiani, imbarcazioni di lft inferiori ai 15 metri, imprese a conduzione familiare. Queste regole hanno ucciso un patrimonio culturale, storico, gastronomico, per non parlare dell’aspetto economico, in quanto la pesca tradizionale contribuiva all’innalzamento del PIL italiano in maniera consistente.

Pertanto si sono fatti molti errori: non è stata svolta la sperimentazione sull’impatto di tali norme, era comodo dare piuttosto deroghe di ben tre anni, ma che importa, tanto si gioca sul futuro del settore primario, sulla testa di migliaia di famiglie, di economie centrali per il Sud; non è stata fatta una revisione, come previsto dal regolamento stesso, nel 2012 per valutare non solo un miglioramento degli stock, ma la situazione delle imprese che, nel frattempo, erano già al collasso. Una serie di errori che hanno decimato porti, intere marinerie scomparse (vedi alto Adriatico o Liguria, i cui dati sono realmente sconcertanti). In nome di cosa? Una sostenibilità di alcuni stock ittici, che stavano comunque dando segnali di ripresa?

Questo indirizzo Total Green si è dimostrato devastante e non risolutivo, ha solo ottenuto la distruzione di un’economia artigianale tipicamente italiana, creando concorrenza sleale con i Paesi extra UE.

Abbiamo ascoltato i nostri iscritti e aperto le porte ai pescatori artigianali italiani e questi propongono una revisione complessiva delle normative vigenti, in linea con la Sovranità Alimentare, che porti alla redazione di nuovi Piani di Gestione Italiani, con regole nostre, adatte ai nostri mari, ai nostri pescatori, alle nostre flotte, perché ormai l’Italia ha i pescherecci più vetusti e meno tecnologici del Mediterraneo.

Se è vero che il significato di “sovranità alimentare” si basa su un principio politico ed etico che va oltre la semplice sicurezza alimentare, è altrettanto vero che è sovranità alimentare quel diritto dei popoli a definire autonomamente le proprie politiche agricole e alimentari, in modo ecologicamente sostenibile, culturalmente appropriato e socialmente giusto.

I regolamenti che si sono succeduti nel corso degli ultimi decenni hanno solo aggravato le cose, creando incertezza e un clima persecutorio verso chi va per mare, il quale si sente quotidianamente un delinquente: non esiste nessuna attività produttiva italiana sottoposta a una tale mole di diritti e nessun dovere quanto la pesca: giornale di bordo, sistema di localizzazione AIS, blue box, tablet con orario di uscita, ora bordata, stima del pescato

Si stima… La cosa più assurda di tutte queste regole: la stima non è un dato certo e farla su venti specie ittiche è un secondo lavoro; poi verranno le telecamere… a quando i bracciali alle caviglie?

Qui si rischia la morte di un settore ma prima ancora… una rivoluzione.

Il pescatore italiano ora, se potesse scegliere, brucerebbe quanto ha costruito con sudore o ha ereditato con passione, perché si sente vessato: giornate di lavoro sempre inferiori, orari settimanali stringenti, adempimenti assurdi, controlli esasperanti… Certo fa comodo controllare quattro pescatori piuttosto che la grande distribuzione, lì dove realmente avvengono le frodi alimentari, lì dove il pescato è prevalentemente di importazione, invece noi colpiamo chi porta a terra un prodotto unico e fresco.

Oltre a considerazioni di impeto e di passione per questo antico mestiere, analizziamo anche tecnicamente quanto appena descritto: le norme attuali non sono allineate con lo sforzo di pesca odierno. C’è un tale calo di catture da non prevedere nessuna restrizione, perché il solo dimezzamento di molte flotte basterebbe quale motivo di non applicazione di quote o altro. Lo sforzo di pesca l’ha ridotto la burocrazia, mentre alla riduzione degli stock incide prevalentemente l’antropizzazione: la non efficienza dei depuratori (spesso pubblici), i quali, per rientrare nei parametri, riversano in mare tonnellate di ipoclorito di sodio, il quale brucia tutto, uova e posidonia in primis. Poi chiediamoci perché la pesca costiera, nonostante le limitazioni, sia morta.

Negli anni ’90 c’erano pescherecci sempre sotto costa a lavorare e c’era sempre più pesce; se per assurdo, in queste zone ora vietate, si provasse a fare una calata, si isserebbero solo plastiche, rifiuti di ogni genere e arbusti trasportati dalle piene dei fiumi, ma non di certo il pesce che doveva crescere in maniera esponenziale… ma che non si rigenera anche per quello che non si issa con una rete, ma si disperde nell’acqua… ma ci fa paura più quello che si vede, ossia un pescatore, un artigiano che issa le proprie reti, che non quello che scompare tra le molecole, si disperde e a poco a poco ci uccide!

La stima del pescato, la stima è assurda: il dato certo è la pesa a terra, la stima non è un dato certo, anche se lo diventa nel momento in cui viene usata con estrema perizia dagli organi di controllo per sanzionare i pescatori. Ci viene da qui la percezione che quasi quasi sia un sistema studiato per fare cassa, tipo gli autovelox per alcuni comuni.

Il Comandante è l’unica persona abilitata ad usare e trasmettere i dati di pesca: fare la stima di ogni operazione significa abbandonare la plancia, lasciandola senza governo, andare a stimare anche venti specie ittiche, col terrore di sforare assurde percentuali, perdendo tempo prezioso ma soprattutto infrangendo il codice della navigazione ed ogni norma di sicurezza a bordo, abbandonando il posto di governo, mettendo a rischio la propria imbarcazione e il proprio equipaggio, spesso con mare mosso. Ma chi ha immaginato questo sistema ci sarà mai stato su un peschereccio?

Altro punto tecnicamente rilevante è avviare subito Piani di Gestione per rendere competitive la nostra flotta: non possiamo permetterci di perdere ancora unità o continuare a subire il divieto all’utilizzo di attrezzi altresì idonei ai nostri mari, alle nostre taglie e non all’Atlantico, dove ci sono solo tre specie ittiche e pesci di grandi dimensioni. Quindi perché non intervenire in Italia così come hanno fatto gli spagnoli, che lavorano con le deroghe sulla maglia delle reti?

Siamo i primi a voler tutelare la biodiversità marina e gli stock ittici in sofferenza, è il nostro lavoro, il mare è la nostra vita, lo vogliamo più di chiunque altro: siamo d’accordo con le aree protette per il ripopolamento, siamo d’accordo all’aumento delle ZSC, che scientificamente sono state calibrate su aree in sofferenza… ma non possiamo accettare di essere circoscritti intorno a innumerevoli divieti e regole che non portano ai risultati che si immaginavano di raggiungere, distruggendo solo la pesca costiera, ma continuando a non intaccare la pesca industriale o quella oceanica, continuando a dare autorizzazioni a costruire aree industriali nelle adiacenze di fiumi, foci e aree costiere: facile prendersela con la sola pesca… facile non confrontarsi con i potenti ma con i più deboli.

Inoltre, la pesca costiera dice NO assoluto alle videocamere a bordo: il peschereccio è una proprietà privata, non è un supermercato dove entra chiunque; sarebbe come se si chiedesse di mettere delle videocamere comunali nelle case dei cittadini per controllarne i consumi: e la tanto decantata privacy? A livello legale, in Italia, l’installazione di telecamere da parte delle forze dell’ordine può avvenire solo in presenza (non in presunzione) di specifici presupposti di illegalità o corruzione e, sempre, su autorizzazione della magistratura. L’installazione, quindi, è ammessa solo in presenza di gravi indizi di reato e, per inciso, le telecamere sono delle forze dell’ordine. Per la pesca si è ben pensato l’installazione di telecamere a bordo dei pescherecci come misura preventiva e nell’ambito di “misure per la modernizzazione del sistema di controllo della pesca” per pescherecci considerati a rischio elevato di non conformità, in relazione a discarica illegale (rigetto) delle catture, superamento delle quote e pesca di specie protette, e le telecamere devono comprarle i pescatori stessi: si dà quindi già per scontato che i pescatori siano dei delinquenti, che ci sia necessità di violare la loro privacy per una presunzione di reato? NOI non ci stiamo!

Altro argomento dolente sono i sistemi di geolocalizzazione: accettabili per imbarcazioni superiori ai 15 metri, ma sotto tale stazza non ha senso, non ci sono gli spazi, non c’è la sostenibilità dei costi degli apparati iniziali né degli abbonamenti.

Ultimo, ma fondamentale punto tecnico da trattare è l’apertura delle quote tonno a tutte le licenze con l’obbligo dell’uso dei soli attrezzi Arpione e Palangaro e vietando la cattura con la circuizione, tecnica altamente impattante: sarebbe un modo per ridare ossigeno al pescatore artigiano che così sfrutterebbe meno altre risorse. Subentrerebbe il problema di calmierare i prezzi dei prodotti ittici, ma questo argomento aprirebbe altre discussioni che esulano dalle possibilità, anche solo in termini di propositi, per la piccola pesca costiera.

I regolamenti UE Pesca non sono più allineati con lo sforzo di pesca attuale, pertanto andrebbero interamente rivisti e riformulati.

Sembra ormai quasi certo che quella attuale sia l’ultima generazione di pescatori italiani. È arrivato il momento di istituire un tavolo di crisi: la pesca sta vivendo il periodo peggiore di sempre, e temiamo che il malcontento possa prevaricare la già colma misura civile. Il pescatore è oggetto di controlli esasperanti; viene da pensare che se si usasse lo stesso zelo per il narcotraffico, lo si sarebbe debellato. Perché non si guarda il Pescatore, con la P maiuscola, come una risorsa? I pescatori sono sempre i custodi del mare; non si faccia di tutta l’erba un fascio, quelli sono bracconieri, non pescatori, avranno le licenze di pesca, ma restano dei furfanti, così come ci sono in tutte le categorie economiche.

Il Pescatore è colui che il mare lo ripulisce da tutta l’inciviltà di molti e porta, sulle nostre tavole, un prodotto eccezionale e Made in Italy.

Tutto il mondo sta facendo un passo indietro, facciamo realmente qualcosa per i nostri pescatori, ricordandoci che sono i depositari di una tradizione millenaria che sta svanendo!

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